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venerdì 2 novembre 2012

DIRTY ACTIONS





1979. Mentre il punk in America e in Inghilterra comincia a cambiare pelle (qualcuno sostiene persino che sia già morto da un pezzo), in Italia iniziano a formarsi le prime band influenzate dal sound di Sex Pistols, Clash e Ramones.

E così accade anche a Genova, periferia dell’impero e terreno di scontro della lotta armata.
I Dirty Actions di Ugo, Bob,Johnny, Mario, Giovanni e Rupert, sono uno dei primi gruppi punk nati sotto la Lanterna sono stati senza dubbio una delle ragioni per le quali anche Genova è stata inserita nella mappa del punk italiano. Ed è riuscita a ritagliarsi un piccolo spazio di notorietà fra le città (Bologna e Pordenone) che hanno dato il loro contributo allo sviluppo di questo tipo di musica nel nostro Paese.

Riporto una splendida intervista di Fabio Degiorgi a Johnny Grieco, cantante e leader della band.

Partiamo dalle origini: quando esattamente e come si erano formati i Dirty Actions?
Fine novembre 1979, il giorno esatto non lo ricordo, il primo nucleo della cellula Dirty Actions, di cui ancora io non facevo parte, si trova in sala prove e sferraglia i primi accordi. Al secondo appuntamento ci sono anch'io, per curiosità, in fondo quasi tutti facevamo parte della fanzine Le Silure d'europe e da poco era uscito il primo numero. Nel casino generale sbraito due cose al microfono e da quel momento non lo mollerò più. Non mi ricordo nessuna luce o nessuna voce dall'alto, ma una vibrazione forte, molto fisica, che dalla punta delle dita dei piedi è salita fino al cervello: BOOOM! "Ho il cuore che mi palpita, il cervello che mi scalpita..."
Quei primi versi rispecchieranno perfettamente l'urgenza e l'energia di cui eravamo pervasi.

Qualcuno di voi suonava già prima in altri gruppi, oppure è stato il punk a spingervi a prendere in mano gli strumenti?
E' stato il punk, assolutamente. E i Devo. Ricordiamoci che nel 1979 erano già passati due anni dall'avvento dei Sex Pistols & company. Io e Mario Benvenuto, l'altro cantante e fomentatore dei Dirty Actions, ci eravamo invaghiti del loro primo irradiante album. Mario lavorava a Radio Blue 44, la radio da cui tutto è iniziato. Gli studi si trovavano in un vecchio rustico alle pendici del Monte di Portofino. Radio Blue 44 meriterebbe un discorso a parte, era una delle prime radio in Italia che trasmettesse rock e punk, in un periodo in cui tutte le radio libere, o meglio commerciali, elargivano merda. "Sai trasmettiamo quello che alla gente piace sennò non ci ascoltano, poi abbiamo gli sponsor che hanno le loro pretese...". Insomma le solite cagate di gentaglia senza coglioni. Da questa isola felice Mario conduceva una trasmissione al pomeriggio sulla new wave e nuove tendenze post punk e, grazie alla radio, aveva in anticipo dischi di cui avevo sentito parlare ma che non ero ancora riuscito a procurarmi.
Io ero costretto a casa sui libri per l'esame di maturità e ogni tanto preso dallo sconforto gli telefonavo: "Mario metti Uncontrollable Urge, Mongoloid o Satisfaction...". Qualcosa che mi desse un po' di energia e mi scuotesse da quella noia mortale. Allora alzavo il volume, mollavo i libri, e ballavo scatenandomi come un ossesso tarantolato e, poi grondante, tornavo sui testi... Ogni tanto mi sorprendeva riproponendo God Save the Queen dei Pistols...e allora i libri volavano per la stanza...
Che incubo la scuola 'fanculo.

Come erano i rapporti con gli altri protagonisti della primissima scena punk italiana, come ad esempio Gaznevada, Skiantos, o i gruppi del Great Complotto di Pordenone? C’era un clima di collaborazione ed amicizia?

Allora non c'era ne' fax, ne' internet e nemmeno My Space, vivevamo in piena età della pietra. Le comunicazioni erano ancora per posta ordinaria e le telefonate costavano moltissimo. Tutto era molto lontano, anche se ci spostavamo spesso e volentieri per seguire i concerti. Rupert, il nostro manager, era in contatto epistolare con Miss Xox e Red Ronnie, ai tempi gran Guru del Punk in Italia. Io ero più interessato ad esperienze "miste" come la mail art con Vittore Baroni di Lieutenant Murnau e poi con Delucchi e Bruzzo, rispettivamente chitarrista e bassista dei Dirty, eravamo culo e camicia con Rossini e Pretolani del Centro UH! quindi direttamente e indirettamente coinvolti in performance di vario tipo dalla body art alla body rage. In quell'anno avevamo conosciuto gli Skiantos che erano venuti a suonare a Genova e avevamo subito legato con Freak Antoni e compagni. Conosceremo poi i Windopen e i gruppi di Milano che come noi facevano parte della collana Rock 80 della Cramps: Kaos Rock, Kandeggina Gang e X Rated.
In ogni caso, vicini o lontani che fossimo, c'era massimo rispetto e amicizia, ma non parlerei di collaborazione. Non c'era proprio occasione di collaborare, tutti eravamo molto legati alle rispettive realtà.



Puoi raccontarci qualcosa della data in cui faceste da spalla ai Damned?

Wow! A livello emozionale, è stato irripetibile. Come una finale di Coppa del Mondo o delle Olimpiadi! Eravamo in un'arena e da subito hanno aperto le gabbie delle belve feroci. Nessuna via d'uscita. Nemmeno il tempo di pensare, solo tirare fuori tutto, senza risparmiarci. Un corpo a corpo senza esclusioni di colpi. I punks milanesi erano schierati tutti in piedi sotto il palco pronti per farci a pezzi e il servizio d'ordine se la sghignazzava. Veniamo immediatamente subissati da una bordata di fischi e urla e i più facinorosi tentano di salire per tirarci giù di forza. Reagiamo con calci e spinte e veniamo bersagliati da centinaia e centinaia di sputi. Nonostante il nubifragio, imperterriti facciamo il nostro concerto e conquistiamo tutta la platea. Dopo un'esperienza del genere come si poteva smettere? Da allora le esibizioni dal vivo sono diventate la mia droga preferita.

Hai il ricordo di un episodio particolarmente positivo e di uno particolarmente negativo di quei primi anni di attività dei Dirty Actions?

Di positivo, escluso il concerto di cui ho parlato, che è fuori da qualsiasi canone di valutazione, c'è stato il momento in cui abbiamo saputo che avremmo registrato il nostro primo 45 giri. Io non ci speravo affatto ed è stata una grande sorpresa quando Rupert, trionfante, ce l'ha comunicato. Al momento non me ne vengono in mente altri.
Negativo invece l'eroina. L'invasione dell'eroina nelle principali piazze italiane, il vero incubo di quegli anni, poi a dare la mazzata finale ci penserà l'Aids qualche tempo dopo. La sistematica e cosciente devastazione e dispersione, fino al quasi completo annientamento, dello spirito antagonista e ribelle di un'intera generazione. Grazie anche alla connivenza dello Stato che non ha fatto nulla per tentare di arginare o impedire questa vera e propria carneficina. Non è facile, oggi, spiegare questi meccanismi senza essere tacciati di vittimismo o disfattismo. Per chi li ha vissuti e, come me, ha avuto la fortuna di uscirne fuori, sa di cosa sto parlando.



Come molti pionieri della scena, anche voi avevate superato in fretta il punk, almeno dal punto di vista strettamente musicale, per aprirvi anche alla new wave e al funky. Ma vi era capitato nei primi anni ’80, prima della scomparsa dalle scene, di ricevere qualche ‘proposta indecente’ da qualche etichetta, ossia la possibilità di fare un grande salto a patto di trasformarvi in un fenomeno pop e commerciale?

Seguire quello che accadeva in Inghilterra in quegli anni era incredibile e impossibile allo stesso tempo. Un'accelerazione straordinaria, irraggiungibile, eccitantissima. Non avevi bisogno di farti qualcosa per tenerti su ma piuttosto per sedarti. Nme e Melody Maker, ID e The Face, ti vomitavano addosso tutte le ultime tendenze in fatto di musica e costume. Il fenomeno punk aveva aperto la strada a qualsiasi tipo di sperimentazione, esplorazione e riscoperta musicale e culturale. Per chi ha vissuto quel periodo in prima persona questi erano i reali benefici della rivoluzione punk. Perché di rivoluzione si è trattato, anche violenta. Chiaramente non è sfociata negli eccidi di massa o nelle sommarie esecuzioni alla ghigliottina, ma si è trattato di una brutale spallata al sistema vigente che non potrebbe essere definita diversamente.
L' industria discografica italiana di quegli anni se ne fregava altamente di queste nuove istanze e intuizioni, penso sia stato il periodo più buio e oscurantista nella storia della musica nel nostro paese. Nessun rischio di proposta indecente. Negli anni 60 e 70, l'industria discografica nel nostro paese si era dimostrata più attenta e guardinga rispetto a quello che succedeva oltre i nostri confini, tentava di assimilarne i contenuti e riproporli con band più o meno credibili e investendo su di esse. Magari semplicemente prendendo un pezzo originale, traducendolo con un testo idiota e strappalacrime e facendolo cantare ad un artista italiano, senza molti sforzi. In quegli anni no, terra bruciata, se si escludono i Decibel di Ruggeri, rarissime mosche bianche e la trovata di Anna Oxa che a Sanremo cantava una normalissima canzone "travestita e truccata" da punk. Ancora oggi è facile constatare l'enorme buco nero degli anni tra il 1977 e il 1982.





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